
Che cos’è la depressione
La depressione non è semplicemente sentirsi tristi in seguito a un evento spiacevole che accade, come ad esempio la perdita del lavoro o la fine di una relazione. In questi casi provare tristezza, piangere e sentirsi abbattuti è una normale e condivisibile reazione.
La depressione è un disturbo mentale che compromette in maniera significativa la vita dell’individuo, non solo nelle attività di studio o lavorative, ma anche sociali e di cura di sé.
Il disturbo depressivo è uno dei disturbi mentali più diffusi: in Italia colpisce circa l’11,2% della popolazione.
La depressione può colpire ad ogni età ed è dimostrato che chi ne ha sofferto una volta ha più probabilità di ammalarsi di nuovo nel corso della vita.
Come riconoscere se qualcuno soffre di depressione?
Come riconoscere se qualcuno soffre di depressione? Il primo aspetto che riscontriamo è la presenza di un tono dell’umore depresso per quasi tutto il giorno per almeno due settimane (ad esempio triste, irritabile, disperato) insieme alla perdita di interesse e di piacere per le attività che prima la persona faceva volentieri.
Associati a questi due aspetti principali possono essere presenti vari sintomi, tra cui disturbi del sonno, alterazione dell’appetito o del peso, faticabilità, agitazione o rallentamento motorio, sentimenti di colpa o svalutazione, difficoltà di concentrazione e nel prendere decisioni e pensieri di morte. Spesso la persona pensa al suicidio arrivando anche a tentare di farlo.
Cosa non fare con persona che soffre di depressione
La prima cosa da evitare da fare con chi soffre di depressione è dire tutte quelle frasi volte a spronare la persona alla guarigione ma che possono sortire l’effetto contrario. “Sorridi alla vita, non hai motivi per essere triste, non sei l’unico ad avere problemi nella vita”.
Queste affermazioni vengono dette con le migliori intenzioni ma non riconoscono la sofferenza in chi la sta provando e incrementano il senso di colpa e di fallimento dovuto alla propria incapacità di reagire alla malattia.
Ad una persona affetta da patologia fisica diremmo mai "smettila di essere malato"? No. Perché per chi soffre di una malattia mentale dovrebbe essere diverso?
Cosa fare con una persona cara che soffre di depressione
Se avete una persona vicina che soffre di depressione la cosa migliore da fare è cercare di motivarla a chiedere aiuto. Provate, ad esempio, a evidenziare i costi della malattia, le esperienze e le occasioni di vita a cui sta rinunciando, quante possibilità ci sono per migliorare la propria vita che ancora non ha tentato.Chiedere aiuto non è segno di debolezza, sfatiamo il falso mito che nella vita bisogna cavarsela da soli a tutti i costi. Il primo passo per superare un problema è ammettere che esiste il problema e dargli un nome.
Quali sono le cause della depressione?
Le cause del disturbo depressivo sono tante e diverse, per capirle meglio si fa riferimento al modello bio-psico-sociale, che spiegheremo brevemente nelle sue componenti.
Bio fa riferimento alla predisposizione genetica e biologica dell’individuo, infatti c’è una forte ereditarietà in questo tipo di disturbo.
Psico-sociale si riconduce agli eventi di vita e le situazioni che vive la persona, in particolare gli eventi vissuti nell’infanzia, definibili come traumi emotivi, che vanno dai maltrattamenti fisici e psicologici all’aver avuto un genitore freddo o trascurante dal punto di visto emotivo. Oltre ai traumi infantili, vengono considerate le esperienze che la persona fa nel corso della vita, dalle relazioni famigliari a quelle lavorative passando per i vari ambienti che la persona frequenta.
Una persona quindi può avere una vulnerabilità psicologica alla depressione e vedere scatenarsi il disturbo a seguito di un particolare evento stressante.
Tra gli eventi stressanti che turbano il corso della vita della persona ci sono quelli dolorosi, come un lutto, la fine di una relazione o la perdita del lavoro, ma anche eventi potenzialmente positivi o neutri che causano un cambiamento di vita importante, come la nascita di un figlio, un trasloco, un cambiamento lavorativo, il matrimonio, il pensionamento, eccetera.
Il modello cognitivo di Beck
In un’ottica cognitiva citiamo il modello di Aaron Beck (psichiatra e psicoterapeuta statunitense) per comprendere come funziona il disturbo depressivo. Beck osservò che nei pazienti affetti da depressione prevalevano un certo tipo di pensieri, soprattutto di autocritica, che emergevano spontaneamente nella loro narrazione: li definì Pensieri Automatici Negativi (PAN). I pensieri automatici negativi hanno la caratteristica di presentarsi nella mente in maniera automatica, involontaria e spontanea.
I PAN del paziente depresso hanno un contenuto tipicamente negativo, con temi di autocritica, autosvalutazione, insuccesso, incapacità, indegnità e non amabilità. Ad esempio, chi soffre di depressione si dice spesso “E’ tutta colpa mia, faccio solo preoccupare gli altri, sono un peso per chi mi sta vicino. Ormai nessuno mi sopporta, sono un fallito e non merito nulla!”
Predomina il concetto di perdita: la persona depressa sente di aver perso qualcosa e valuta questa perdita come irreversibile e irreparabile. Perdita va intesa come la perdita di un lavoro, di una persona, di uno status sociale, ma anche di libertà personale e autonomia nelle decisioni. A seguito di questa perdita, l’individuo non riesce a proseguire con la propria vita e rimane bloccato.
Il negativismo del paziente depresso è così generalizzato e pervasivo nella sua vita che è stato introdotto il concetto di triade depressiva: negativismo verso se stesso, gli altri e il futuro.
La persona depressa si valuta come difettosa e inadeguata e per questo si svaluta e si autocritica: “Sono solo un fallito, voglio rimanere a letto per sempre. Che perdente!”
Interpreta in maniera negativa le informazioni provenienti dall’ambiente, personalizzandole e descrivendole in maniera svalutativa: “Le persone mi rimangono vicino solo perché gli faccio pena, in realtà nessuno mi sopporta, è così ovvio...”
Per quanto riguarda la prospettiva futura, essa è pervasa di pessimismo: il paziente depresso vede il futuro come un prolungamento delle sofferenze del presente, senza alcuna speranza che le cose possano cambiare. Non intraprende azioni nuove perché è convinto porteranno a fallimenti, quindi risulteranno inutili o addirittura dannose. “Non cambierà niente, starò sempre così male, la mia vita non ha alcun senso…”
Analizzando i contenuti del pensiero del paziente depresso, Beck individua la presenza di quelli che definisce bias (errori) cognitivi. Questi “errori” di pensiero vengono messi in atto quando il paziente interpreta ciò che succede all’esterno e ciò che lo riguarda in prima persona.
Se succede una cosa negativa essa viene interpretata come segno che tutto va storto. Anche piccoli ma fastidiosi imprevisti possono dare inizio a una spirale depressiva, come ad esempio non trovare parcheggio sotto casa. La persona può iniziare a lamentarsi di tutto, del traffico, degli automobilisti che parcheggiano male occupando, ad esempio, due posti auto, iniziando ad angosciarsi in maniera esagerata, a maledirsi per aver deciso di uscire di casa, a rimproverarsi per essere sempre quello che prende decisioni sbagliate e a cui non va mai bene niente. Il vortice depressivo generalizza l’angoscia scatenata dal singolo avvenimento a tutta la storia di vita, senza vedere possibilità che le cose possano migliorare.
La persona che soffre di depressione è intrappolata in una prospettiva catastrofica del futuro, ingigantendo le difficoltà, minimizzando le cose positive che ci sono nella vita, attribuendosi la colpa di tutto rimanendone schiacciati.
Come si cura la depressione?
Uno degli approcci suggeriti dalle raccomandazioni cliniche per la cura del disturbo depressivo è il trattamento di tipo cognitivo comportamentale. Esso si articola in due fasi: la prima che ha come obiettivo instaurare la relazione terapeutica con il paziente e di ridurre i sintomi, la seconda è di prevenire future ricadute e aumentare il benessere e la soddisfazione della persona della propria esistenza.
Senza entrare nel dettaglio delle tecniche, riassumiamo in breve come si svolge la prima fase della terapia. Per cominciare la persona viene informata su che cos’è la depressione e come funziona, imparando a dare un nome alle proprie emozioni e a quello che sente e a riconoscere che sta attraversando una malattia difficile ma da cui si può guarire.
Nella fase acuta della malattia (inizio della terapia) è consigliabile sentire il parere di uno psichiatra che valuti la necessità di introdurre dei farmaci specifici per l’umore. Nelle depressioni gravi e moderate il farmaco è raccomandato in associazione alla psicoterapia.
Dopodiché si condivide il modello descritto sopra con le caratteristiche specifiche della persona in questione, i suoi pensieri automatici negativi, le distorsioni cognitive che mette in atto, quali eventi di vita riconosciamo come cardini nella sua storia. Comprendere tutto ciò permette di dare un nuovo significato alla propria malattia e alla propria storia vita. Tutto questo lavoro viene svolto lavorando insieme, terapeuta e paziente, ponendo degli obiettivi da raggiungere e dando dei compiti a casa da fare tra una seduta e l’altra.
Nella seconda fase, quando la persona ha ripreso a prendersi cura di sé e si sente un po’ meglio, si lavora sulla vulnerabilità, sulle radici del disturbo, per prevenire che capiti un altro episodio depressivo in futuro e per rendere la persona soddisfatta di sé e della propria vita.
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